

Termini enologici: come e perché il “vinese” deve cambiare
È il linguaggio attuale, fatto di termini enologici specifici e parlato dagli addetti ai lavori ma non è comprensibile a tutti. L’obiettivo degli esperti? Modificarlo in favore di una terminologia più semplice e inclusiva.
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Perché bere vino è un rituale magico? Tutto nasce dalla qualità di quello che si beve, ma anche da certi riti ad esso legati: la degustazione, gli abbinamenti, la geografia delle denominazioni che fa scoprire le caratteristiche di ogni regione italiana, il modo in cui viene servito.
Non ultimo il linguaggio dei sommelier, che devono tradurre in parole un mondo di sensazioni ed emozioni gustative.
Un linguaggio che però spesso risulta elitario, ostico, misterioso e poco comprensibile ai più. Al punto che un italiano su tre non capisce e rischia di travisare i termini usati dai sommelier nella descrizione sensoriale di un vino.
Anzi alcuni dei termini enologici, come ad esempio tannico, astringente, abboccato, risultano incomprensibili a un terzo degli intervistati (dati emersi da una ricerca realizzata dall’università di Verona e presentata alla Valpolicella Annual Conference).
Approfondimento glossario vino

I descrittori dei termini enologici
Analizzando 64 “descrittori” presenti nelle guide enologiche, insieme ai termini tecnici dell’Ais (Associazione italiana sommelier) emerge che il:
- 40% dei termini utilizzati riguardano l’olfatto
- 40% sono descrittori del gusto
- 16% ha a che fare con la vista
- 4% riguarda il racconto diretto del territorio, l’azienda, la storia dei produttori, i collegamenti con la moda, l’arte e il design.
«Va necessariamente migliorato e semplificato il dialogo tra esperti e consumatori – ha spiegato Roberto Burro, docente di psicologia dell’Università di Verona. – Per far questo va cambiato il linguaggio, con un approccio diverso a seconda degli utenti e il loro grado di conoscenza della materia enologica – ha concluso. – Va cambiato l’approccio psicologico e descrittivo nel racconto di un calice in degustazione».
Obiettivo: cambiare il “vinese”
«L’idea di cambiare il “vinese” è interessante – ha commentato il presidente del Consorzio di tutela dei vini Valpolicella, Christian Marchesini. – Spesso ci capiamo tra noi, ma evidentemente il consumatore vuole un linguaggio nuovo e più inclusivo. Che non sia un’esclusiva solo per gli addetti ai lavori.
Come Consorzio siamo convinti che la semplificazione debba comunque essere sinonimo di conoscenza. Per questo stiamo lavorando sulla formazione internazionale attraverso il Vep (Valpolicella education program), un corso per influencer internazionali, giornalisti e operatori del settore che in quattro anni ha accreditato ben 28 ambasciatori della Valpolicella nel mondo”.
Certo, i sommelier fanno un lungo percorso tecnico e pratico di formazione e assaggio. Se si trovano davanti a un vino che è carico di colore, ad esempio, dicono che è ricco di antociani e questo è un linguaggio corretto. Ma tutto va tarato secondo l’uditorio, è ormai necessario non risultare saccenti e spocchiosi, quindi ben venga la semplificazione.