

Cinque sensi per un calice di vino
La vista, il tatto, l’olfatto, l’udito, il gusto. Sono i cinque sensi coinvolti nella degustazione di un vino. Si mettono in moto davvero tutti, in momenti diversi e con diversa intensità. Ci vuole allenamento, conoscenza e sensibilità. Ne sanno qualcosa i sommelier.
La bellezza è negli occhi di chi guarda
Partendo dall’assunto che “de gustibus non disputandum est” – locuzione latina, attribuita da Plutarco a Giulio Cesare, che la dice lunga sul termine “bellezza”, nella sua accezione più varia – è sicuro che ognuno guardi e veda solo con i proprio occhi.
E “giudichi”, ovvero si formi un giudizio in base alla propria personale esperienza.
Ergo, un vino può, più o meno, dare piacere perché molto dipende anche da cosa cerchiamo in un calice, in quel momento.
Tanto dipende dall’ambiente in cui ci si trova a compiere il rito, dalla location, insomma, e dalla compagnia. Lo stato d’animo, poi, influisce non poco, anche se un buon bicchiere può sempre cambiare le carte in tavola.
Ciò premesso, un buon vino si riconosce subito: a partire dall’eleganza della bottiglia e dell’etichetta che giocano un certo ruolo attrattivo.
Il colore, la lucentezza che rimandano la mente ai vigneti baciati dal sole e accarezzati dal vento.

La stimolazione dei cinque sensi nel contenitore e nel contenuto
Tintinnanti bicchieri di cristallo, trasparenti, esili al tatto, stimolano i cinque sensi durante la degustazione, oltre che permettere all’olfatto e al gusto di entrare in gioco più direttamente.
Vista, olfatto e gusto si attivano quasi all’unisono. Ma solo dopo aver ponderato il colore, il naso entra in gioco e, accarezzato il profumo (fruttato, dolce, forte, floreale, speziato…) che innesca ricordi e sensazioni inebrianti, si assapora il nettare.
Prima con le labbra, poi lentamente con la lingua e il palato.
Insomma, ogni degustazione è un concerto dove tutti gli orchestrali devono suonare bene insieme, la stessa musica, diretti – “bien sur” – da una sapiente bacchetta. Ovvero colui o colei che degusta. Ed è qui che entrano in gioco la conoscenza e la curiosità.
Via il “bouchon” parte la storia
Da dove viene questo vino? Quanto sudore e fatica e amore si porta dietro? Quanta strada, quali sentieri ha percorso prima di finire sulla tavola imbandita di tutto punto? Quanto c’è di naturale e quanto di artefatto nel prodotto finale? Il connubio è ben riuscito oppure no? La mente vola, fa mille giri a ogni sorso e oltre…
Sin dalla prima presentazione della bottiglia, quando viene mostrata dal sommelier o allorquando più semplicemente leggiamo l’etichetta, si viene in possesso delle prime informazioni anagrafiche del soggetto che abbiamo davanti. Qui la cultura del vino non è affatto secondaria, anzi.
Intanto l’udito, ultimo dei cinque sensi, è già al lavoro allorché (letteralmente) si cava il tappo, che sia di sughero o altro, dalla bottiglia. Al suono del “bouchon” tirato via, che finalmente libera i primi aromi e, versando il succo d’uva lavorato, con quel “glu glu glu” nei calici, l’orecchio entra in pieno fermento.
Una buona conversazione conviviale, una piacevole musica di sottofondo, oppure l’eloquente silenzio davanti al crepitio della fiamma nel camino, fanno il resto.

Venezia Giulia IGT 2018 – Desiderio
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