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Il vino in Italia: genesi di un prodotto tra sogni, storia e leggenda
Stile e cultura del vino

Il vino in Italia: genesi di un prodotto tra sogni, storia e leggenda

ROSADIVINI
ROSADIVINI
Redazione

Sono molti gli italiani che sognano di produrre vino per desiderio di evasione ma anche con la speranza di una vita migliore a contatto con la natura. Ma com’è nato il vino in Italia? E soprattutto dove affonda le sue radici?

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Fiaba e realtà, mito e storia: la origini del vino in Italia sono talmente antiche che si perdono nella leggenda.

Il vino può definirsi una bevanda letteralmente ancestrale, una delle più antiche mai consumate dall’uomo, soprattutto quello italiano che ha alle spalle una tradizione arcaica che va dal Nord al Sud, e ogni territorio ha la propria.

C’è chi pensa addirittura che la vite derivi direttamente da Adamo ed Eva, e che il vero frutto proibito fosse in realtà l’uva e non la mela, come scritto nella Bibbia. Altri invece la collocano sull’Arca di Noè, che sarebbe il vero inventore del vino e salvatore della vite dal Diluvio Universale.

Ma la vera storia del vino italiano da Nord a Sud è del tutto diversa. Non è affatto un caso che il nome antico del nostro territorio italiano era denominato Enotria tellus, terra del vino.

Secondo un sondaggio online di Coldiretti, oggi l’82% degli italiani sogna di possedere una vigna e produrre il proprio vino. Perché? In parte sono influenzati da personaggi famosi, attori, cantanti, politici ma anche giornalisti, sportivi, stilisti e grandi imprenditori che hanno investito nel settore del vino per business e per stare a contatto con la natura, per esprimere creatività, avere nuovi stimoli e garantirsi in generale una più elevata qualità di vita.

Quando si pensa al buon vino, viene subito in mente l’Italia e le sue regioni con lussureggianti e dolci colline, dove la raccolta delle migliori uve è ancora fatta a mano. E non a caso l’Italia è la patria di alcuni dei migliori vini del mondo.

I Greci e i Fenici hanno fatto la storia del vino in Italia

La storia del vino e della viticoltura in Italia viene fatta risalire agli anni intorno al 1000 A. C. (probabilmente anche prima), e trae le sue origini dalle conquiste avvenute in Italia da parte di due grandi popoli, Fenici e Greci. Anche se sono state rintracciate alcune piccole e rare produzioni locali.

Nell’antichità i Fenici, conquistavano il loro predominio nel Mediterraneo, e introducevano queste società al “nettare dell’uva”. In Italia, i fenici consolidarono la loro posizione in Sardegna e Sicilia, importando vino soprattutto in queste regioni.

Ma i veri iniziatori della cultura enologica italiana furono i greci. Fu infatti questo grande popolo ad introdurre in Italia nuove varietà, addomesticandole e realizzando le prime, per quanto rustiche ed arcaiche, sperimentazioni sulle uve.

L’impronta del popolo ellenico nella storia vinicola italiana è stata davvero fondamentale, soprattutto nell’Italia meridionale, dove molte delle uve che vengono vinificate oggi sono state introdotte durante la colonizzazione ellenica intorno al VII secolo A.C.

In Calabria, Campania e Sicilia il primo commercio di uva

Il primo approdo del commercio di uva e vino di questo popolo fu prima in Calabria, poi in Campania ed in Sicilia. Anche se alcune fonti indicano la Sicilia come prima regione di approdo, poi la Calabria e tutte le altre.

Ai greci quindi, non si deve soltanto lo sviluppo della viticoltura e dell’arte della vinificazione nel loro paese, ma anche la diffusione di queste in altre aree, tra cui appunto l’Italia.

In Italia, prima gli etruschi e poi i romani raccolsero i frutti diffondendoli in tutta Europa e creando le premesse che hanno trasformato questo prodotto in uno dei più importanti d’Europa  e del mondo.

Vino in Italia: anche gli etruschi hanno lasciato il segno

In Etruria la coltura della vite fece la sua apparizione nella prima metà del VII sec. a.C., e già nel corso del VI la distribuzione di anfore vinarie nel Lazio, in Campania e nella Sicilia orientale, in Sardegna e in Corsica e, a nord, sulle coste meridionali della Francia e della Spagna. 

Tutto ciò è indice non solo del volume dei traffici intrapresi, ma anche dell’intensità di una produzione ormai ben avviata.

L’Etruria, evidentemente, è stata capace di organizzarsi in breve tempo sul piano commerciale per vendere  al meglio il prodotto vinicolo in eccedenza.

Almeno all’inizio, alla base di questo commercio ci sarebbe stato lo scambio di generi di necessità o di lusso, come il vino, contro metallo o prodotti semilavorati.

Le anfore erano i recipienti adatti ad essere accatastati sulle navi, sono sempre state considerati i contenitori da trasporto per eccellenza.

Marco Porcio Catone e la vigna

La viticoltura romana affonda le sue radici nella cultura greca ed etrusca. In realtà, quasi sicuramente la vite è una specie autoctona nella penisola e non vi era stata importata da altri popoli.

Solo che in molti casi le viti erano tenute allo stato selvatico. I Romani avevano appreso le tecniche per la coltivazione della vite da Etruschi, Greci e Cartaginesi. Marco Porcio Catone (234-149 a.c.) mise la vigna come la prima delle culture italiche.

Le piantagioni specializzate nacquero all’inizio in Campania da cui proveniva il Vinum Falernum. Columella, nel De re rustica, descrive vigneti con la distanza di circa 3 m (dieci pedes) tra un filare e l’altro, con vigneti legati ad alberi o sostenuti da pali in legno.

Nel tempo, l’alberata etrusca venne sostituita da filari con intrecciata di canne, fino ad arrivare ad impianti a cordone. Un ettaro di vigneto arrivava a produrre più di 150 quintali di uva, quindi con una resa analoga a quelle dell’epoca moderna, fino a 200-300 ettolitri per ettaro.

Questa produttività dei vigneti locali contribuì al crollo delle importazioni dei vini greci a favore del consumo della produzione locale.

Come si beveva il vino anticamente

Sia i greci che i romani bevevano il vino mescolato con acqua, a causa della sua altissima gradazione alcolica dovuta alla vendemmia tardiva.

Le proporzioni della mescolanza erano stabilite di volta in volta da uno dei convitati eletto dagli altri commensali alla carica di simposiarca, per i Greci, o di magister bibendi o rex convivii, come lo chiamavano i Latini, che fissava anche il numero e le modalità dei brindisi.

Le diluizioni di vino preferite erano quelle chiamate “a cinque e tre”. La proporzione a cinque era formata da tre quarti d’acqua e due di vino; quella a tre, invece, da due parti d’acqua per una di vino.

Nel mondo romano esistevano anche le tabernae locali simili alle nostre osterie, dove si vendeva vino sfuso. Erano costituite da uno o più ambienti, di cui quello all’aperto sulla strada con un grande bancone in muratura, sul quale si trovava quasi sempre un piccolo fornello per scaldare l’acqua d’inverno ed erano poggiati contenitori.

Nel bancone erano inoltre murati alcuni grandi orci per contenere il vino da vendere. Il loro numero indica quanti tipi di vino si potessero trovare in quella data taverna.

Indubbio rimane il merito dei Romani che, grazie alle loro leggendarie conquiste, diffusero la cultura del vino in tutta Europa, facendone un’istituzione nella storia di questo fantastico continente.

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Creato il 10/11/2021, aggiornato il 20/07/2022. © Riproduzione riservata.