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“Vino, donne e leadership”: intervista a Barbara Sgarzi
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“Vino, donne e leadership”: intervista a Barbara Sgarzi

ROSADIVINI
ROSADIVINI
Redazione

Docente di social media all’università, giornalista professionista ma anche sommelier: Barbara Sgarzi è tutto questo (e anche molto altro). L’abbiamo contattata telefonicamente per avere un suo parere sui cambiamenti che stanno colpendo il settore del vino e su come le aziende, anche piccole, stiano rivedendo il loro modo di comunicare attraverso l’uso dei social.

Le abbiamo fatto qualche domanda sul suo ultimo libro, intitolato “Vino, donne e leadership”, in cui ha avuto la possibilità di intervistare donne imprenditrici di un settore, quello vinicolo, che resta tutt’oggi appannaggio degli uomini. Una chiacchierata piacevole, utile per un punto di vista diverso sul rapporto tra nuova comunicazione e mondo vinicolo e che traccia quelle che, secondo Barbara Sgarzi, dovrebbero essere le linee guida da seguire per le aziende che per la prima volta si affacciano sul mondo social.

Giornalista, docente ma anche sommelier: come si intersecano tutte queste professioni apparentemente così diverse?

Io sono giornalista da sempre, ho cominciato a scrivere ne 92-93 durante l’università e poi ha avuto la fortuna di incocciare nella rivoluzione digitale.

Mi sono laureata nel 96-97, praticamente quando arrivava internet. Ho iniziato a lavorare per Yahoo e sono entrata di gran carriera nella rivoluzione digitale. Ho vissuto una intensa avventura a Londra, affiancando all’esperienza cartacea il trattamento di contenuti digitali.

Tornata in Italia sono entrata in Mondadori Digital, nel 2001-2002: e essendo già stata Content Manager di Yahoo ho cominciato anche a sfruttare questa  esperienza, cominciando a tenere corsi e a formare giornalisti per il digitale (2008-2009). Ho lavorato per molti anni per il Corriere della Sera e da lì è arrivata la chiamata all’università.

Oggi la maggior parte del mio lavoro è consulenza sulla comunicazione digitale. Poi nel 2016, essendo anche appassionata di vini, ho preso il diploma di sommelier. E così ho cominciato a mettere insieme tutti i puntini! Nel 2019 ho scritto “Social media wine. Strategie, strumenti e best practice per comunicare il vino online”, una sorta di manuale per chi voleva cominciare ad affacciarsi in un mondo più social”.

La scelta di diventare sommelier nasce per pura passione?

Sì, ho sempre degustato il vino per passione senza avere le competenze tecniche, una quindicina di anni fa avevo fatto anche parte di un gruppo di degustatori non professionisti per una rivista emergente del settore ma ai tempi non ho approfondito troppo la cosa, non avevo tempo per studiare. Sono un po’ fissata con i diplomi, mi piace mettere una cornice a quello che studio e quello che faccio. E così non appena ho potuto, ecco la scelta di prendere il diploma AIS. Non ho mai pensato però di lavorare come sommelier, ho sempre puntato molto sull’aspetto della comunicazione. Però è piacevole sapere quello che bevi; a cena lo racconti agli amici, può essere anche carina come cosa”. 

“Vino, donne e leadership” è l’ultimo libro scritto, una serie di interviste realizzate a donne che sono riuscite ad affermarsi in un campo tosto come quello dell’imprenditoria del vino ma che hanno colto questa occasione per raccontare la parte bella del loro percorso, senza piangersi troppo addosso.

Sì, sottolineo sempre volentieri questo aspetto. Non perché io da donna e professionista ignori che c’è ancora tanta strada da fare, per carità, questo non lo negherò mai. Ma mi è davvero molto piaciuto che nessuna delle donne che ho intervistato abbia “fatto la lagna” ma si sia messa piuttosto a sottolineare il percorso che ha compiuto. Mi riferisco soprattutto alle donne della mia età, quindi quelle che in un certo senso hanno aperto la via. Oggi per le donne che vogliono entrare nel mondo del vino è già più semplice rispetto a un tempo, perché c’è una più marcata sensibilità. Un messaggio bello, quello dato da tutte loro: “guardate che si può fare, non state a piangervi addosso, studiate, documentatevi e vedrete che le cose arriveranno”. Scrivere questo libro è stato davvero emozionante”.

Qualche nome delle donne del vino intervistate?

Nel libro ci sono le discendenti di grandi famiglie: Antinori, Frescobaldi, Incisa della Rocchetta. Alcune tra le signore del vino italiano: Allegrini, Foradori, José Rallo. C’è chi si è trovata tra le mani magari troppo presto un’azienda ereditata dai genitori, che dall’esterno sembra aver avuto la strada spianata e invece ha dovuto lottare contro il pregiudizio: “Eh, ma questi non sono più i vini di tuo padre”.

Quelle arrivate al vino dopo mille esperienze diverse e lavori anche lontanissimi dalla vigna o dalla cantina, come in una lunga storia d’amore tormentata, ma con il lieto fine. Quelle, ancora, che non potevano contare né sul nome né sulla famiglia, ma solo su una grande passione e hanno costruito una nuova realtà negli anni, ettaro dopo ettaro. Ci sono, infine, quelle che della presenza e forza femminile e dell’associazionismo, del network, hanno fatto una missione, come Debora Brenner di Women of the Wine, Anna Malassagne de La Transmission, Julia Coney di Black Wine Professionals”.

Ma c’è anche chi invoca alle cosiddette quote rosa.

Sì, è così. Camilla Lunelli, imprenditrice appassionata e anima dello spumante Ferrari, mi ha detto per esempio che è vero che le cose stanno cambiando ma secondo lei  troppo lentamente. Per cui ben vengano le quote rosa che aveva sempre pensato che fossero un’aberrazione ma che magari potrebbero velocizzare un po’ il percorso di ingresso delle donne in questo settore che ancora è purtroppo un po’ chiuso. Della serie intanto fateci entrare, poi vi faremo vedere quanto valiamo”.

Come sta cambiando il mondo del vino in reazione ai social?

Sta cambiando abbastanza anche se in Italia parecchio lentamente. Intanto facciamo una distinzione tra periodo pre e post Covid. 

Nel periodo precedente alla pandemia era molto difficile convincere le cantine a “scendere online” e farlo dotandosi di uno staff serio.

A fronte dei soliti giganti del vino c’erano cantine medio piccole che magari non avevano soldi, budget, professionisti per poter puntare seriamente in questa direzione. Dopo la pandemia le cose sono cambiante molto.

Le cantine si sono trovate “tagliate fuori” nei mesi di lockdown: nessuna visita in cantina, chi non aveva già una rete di comunicazione si è trovato parecchio in difficoltà. In quei sei mesi di lockdown più o meno serrato io personalmente ho visto una vera rivoluzione: tantissime cantine che si erano dette disinteressate al canale web si sono buttate online anche in maniera, all’inizio, un po’ amatoriale.

Insomma possiamo dire che la pandemia qualcosa di buono lo ha fatto, se ci si sofferma sulla spinta verso la rivoluzione digitale da parte di alcune cantine. Adesso è però il momento di solidificare e migliorare. Serve che la comunicazione diventi qualcosa di professionale e non qualcosa di amatoriale”. 

Quali sono le nuove opportunità che i social garantiscono a chi produce e vende vino?

Sicuramente la possibilità di far conoscere i propri vini e il proprio territorio a una platea infinita che magari non ha tempo o non ha modo di vedere da vicino certe realtà. Metterci la faccia, magari con una intervista a un enologo, rappresenta di certo un’ottima possibilità per farsi strada anche all’estero.

Ma è importante svecchiare la comunicazione del vino che oggi definirei quasi “esoterica”. Chi ha la conoscenza del vino tende a comunicare in modo un po’ troppo tecnico ma non tutti hanno le competenze per comprendere termini specifici e davanti a certi tecnicismi prevale la noia.

Credo allora che si debba andare verso una comunicazione del vino più diretta e emozionale e questo si può fare sicuramente grazie ai social media che puntano sulla conversazione. I social sono dunque uno strumento per mettersi in gioco da parte delle cantine nei confronti dei clienti.

I wine influencer da questo punto di vista hanno fatto molto perché sono riusciti a parlare in modo più giocoso e rilassato. Ma con un grosso limite che rappresenta poi anche il pericolo maggiore per chi sta sul web: una scarsa professionalità. E’ un discorso generale ma vedo davvero tanta improvvisazione. Il vino è un prodotto particolare, la competenza di base ci deve essere, puoi essere il comunicatore più bravo del mondo ma serve una competenza di base.

Cito sempre volentieri il professore Vincenzo Russo, esperto di Neuromarketing del vino: dice sempre che nel vino ci vogliono gli “influexpert”, persone che cioè spostino l’opinione online e che abbiano quindi un bel pacchetto di followers ma anche le competenze necessarie per trattare certi temi. Semplificare non vuol dire banalizzare, tu mi devi parlare di vino in modo che io capisca però devi sapere di che cosa stai parlando. Infatti alle cantine che vogliono puntare su qualcuno per sponsorizzarsi dico sempre: scegliete influencer con relativamente pochi followers ma che siano di nicchia cioè che parlino solo di vino. Non ci si può insomma a affidare a persone che oggi sponsorizzano pannolini, domani mobili e dopodomani vino: si perde di credibilità”.

Ma in Italia manca la cultura del vino?

Oggi c’è una forbice che si apre sempre di più tra i super esperti che ti mettono quasi l’ansia, i sommelier che usano termini troppo specifici e una parte che invece non possiede alcuna competenza quando si parla di vino.

Ma il discorso è davvero più ampio, si dovrebbe per esempio anche ripensare la narrazione della visita in cantina che molto spesso di traduce in numerose informazioni tecniche che poi al visitatore non lasciano niente.

Nel mio ultimo libro ho citato uno studio presentato al Vinitaly nel 2019 che metteva in evidenza un aspetto davvero curioso che mi aveva sconvolto: solo 1/4 dei wine lovers conosceva la provenienza dei vitigni più famosi. Molte persone non sapevano per esempio che il Nebbiolo è un vitigno che si coltiva prevalentemente in Piemonte. Insomma serva una sorta di educazione al vino che in Italia purtroppo manca”.

Creato il 05/11/2022. © Riproduzione riservata.